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città a lui sconosciute diventassero sempre più abituali 
Londra, Parigi, New York  che i suoi compagni di un
tempo scomparissero per sempre dagli affari. In questo
vedeva la libertà. La libertà di tutto. Persino di fare un
numero di telefono, di udire una voce di giovane donna
e d improvviso, quella voce sconosciuta, quel volto che
poteva essere bello o brutto, quel sangue, quella carne,
coinvolgerli nella sua smania di universale possesso.
Bastava il nome  Annibale Doberdò!  perché la voce
sconosciuta  fosse di moglie fedele o di vergine  s incri-
nasse in uno stupore servile, di fronte a lui, al numero
uno, al primo. E Doberdò, di questo stupore che non
Letteratura italiana Einaudi 131
Alberto Bevilacqua - La califfa
aveva nome né volto, ma solo gli eccitanti toni di una pos-
sibile offerta, si compiaceva più che di un amplesso. Per-
ché consentiva alla sua fantasia di immaginare un letto
grande come il mondo, con tante donne nude fresche
giovani e pronte per lui, che passava, toccava, annotava la
differenza di un seno, di un sedere, di un pelo, travolto da
quel diverso modo di offrirsi e di essere donna.
Ecco la sua libertà. Fugaci fantasie, ché i telefoni tor-
navano a coinvolgerlo, rimandandolo da Parigi, a Lon-
dra, a New York, dai formaggi alla salsa, dalle scarpe al
prosciutto. E, nel poco tempo libero che gli restava, cer-
cava di leggere, di informarsi, dando fondo alla sua fibra
che gli consentiva di sedersi all alba al suo tavolo e di
non venirne via che per un breve sonno affannoso.
Non aveva dunque tempo per le considerazioni, o
forse cercava di non averne, e di appurare cosa pensava
di lui quella città che mangiava  Doberdò , che calzava
 Doberdò , che leggeva il giornale finanziato da  Do-
berdò . Lo amava, lo odiava? Inconsapevolmente, non
gli importava troppo che fosse odio o amore; l impor-
tante era che non fosse indifferenza. E come poteva es-
serlo, verso quel nome che dilagava, verso quell uomo
sepolto dietro la finestra più alta sull unico grattacielo
cittadino, illuminata fino alle ore piccole della notte, co-
sì che bastava alzare gli occhi al cielo per vedere la mac-
chia di quella luce?
San Doberdò, un santo protettore, non più un santo
stupido.
Eppure, se avesse avuto più tempo, Annibale Do-
berdò si sarebbe reso conto che la città, senza amarlo né
odiarlo, provava un sentimento peggiore dell indifferen-
za: e cioè la benevola pietà che si concede ai deboli, alle
teste di paglia, al di là della loro apparente potenza.
Tanti anni per arrivare a sentire gli sguardi addosso,
senza capire nulla, senza rendersi conto che  divorando
le verità anche più intime della sua famiglia  la gente,
Letteratura italiana Einaudi 132
Alberto Bevilacqua - La califfa
incontrandolo, guardava in realtà al di sopra della sua
spalla, dove Clementina Doberdò passava austera e
puntigliosa...
Quella Clementina Doberdò che ora si trascinava tra
il giovane Giampiero e il dondolante Annibale, nella
camminata serotina. Le prime luci si accendevano sul-
l alzarsi dei cappelli, sugli inchini e Annibale Doberdò
ricordava e pensava; pensava anche alla grigia ala di
stanchezza con cui il declinare della sua maturità lo sta-
va assalendo.
Era stanchezza fisica? Era debolezza di cuore, come il
medico sosteneva? Una debolezza di cuore non spinge
un uomo a riportare il ritratto del padre  dall ombra di
una stanza anonima  alla luce di un tavolo importante:
povera, cara faccia pulita tra lo squillare di tutti quei te-
lefoni. Non porta un ambizioso a fermarsi davanti ad
una povera casa di campagna con la voglia di starci den-
tro, di mangiarci magari una polenta col filo, di dormirci
sui grandi materassi di crine.
Soprattutto non induce un uomo che può giocarsi po-
litica e amore, denaro e destino altrui, ad alzarsi dal suo
tavolo, dove i milioni turbinano come nel giro di una
roulette, per avvicinarsi alla finestra che domina l oriz-
zonte e guardare in un angolo fuori città, tra i pioppi,
dove i lumi dei morti tremano nel fondo di una notte so-
litaria.
Un Annibale Doberdò che manovra un pugno di te-
ste di paglia e di vassalli, tollerati da lui o creati con le
sue mani  dal Farinacci al Mastrangelo al Questore
Mazzullo al Martinolli, ai tanti altri seduti dietro una
scrivania che in realtà appartiene a lui  , e che concede
tempo, pensieri e affetti a una povera ragazza che la fa-
me e la solitudine hanno portato fino a lui come un ca- [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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